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Avere una coscienza politica

  • Immagine del redattore: Giovanni Cusenza
    Giovanni Cusenza
  • 15 giu 2024
  • Tempo di lettura: 15 min

Negli ultimi anni accade con grande frequenza che molte persone, manifestando di avere una visione estremamente positiva della mia persona, mi propongano di sviluppare congiuntamente progetti di natura politica.

Questo flusso ha quindi lo scopo di far sì che, da qui in poi, coloro i quali ritengano di potermi proporre qualcosa di questo genere, abbiano coscienza di cosa io pensi in merito.

Solitamente, molte persone sogliono anteporre ciò che desiderano all'analisi della realtà per come essa sia. Per la medesima ragione, la maggior parte di coloro che abbiano provato a coinvolgermi nel costruire qualcosa insieme pervengono quasi sempre a una conoscenza inappropriata della mia persona: così, quindi, mi presumono, immaginandomi. Ciò che è da criticargli, nondimeno, è che conoscere le persone sia il solo criterio attraverso cui stabilire chi siano quelle con cui poter condividere idee, o progetti di questo tipo, e tantomeno quelle con cui poter andare d’accordo.

In paese, ancor più che in città, avviene che quasi chiunque voglia, a un certo punto, interessarsi di politica. La ragione apparente è che la gente prenda coscienza, a un certo punto della sua vita, di vivere in una comunità; ma la vera ragione è che chiunque voglia divenire protagonista di un momento storico e, inoltre, che voglia fare qualcosa per potersi sentirsi dire, a un certo punto, di essere stato quelli che, alla fine, nel bene o nel male, qualcosa l’abbia comunque fatta.

Personalmente, invece, io non voglio o, per lo meno, non me la sento. Non oggi, almeno. Magari un giorno cambierò idea, mi sentirò ispirato, o troverò necessario compiere questo sacrificio: perché, dal mio canto, fare politica equivarrebbe infatti a sacrificarmi, non a ottenere una qualche forma di prestigio.

Io, dal canto mio, non sono nella condizione, attualmente, di poter compiere questo sacrificio. La politica, per me, è una cosa molto seria e non un gioco di facile protagonismo. Non essendo nella condizione di potere ancora appieno contare su me stesso, dunque, non sono nella condizione di poter fare da sitter a gruppi più ampi di individui, o a un’intera comunità: perché di questo, purtroppo, si tratterebbe. 

Per il mio temperamento e per gli effetti emotivi che producono in me certe questioni, inoltre, è molto probabile che io non potrò mai fare politica per come comunemente questa cosa venga (fra)intesa. Infatti, non sono piacente, se mi si conoscesse, ma al contrario risulto pedante e saccente. Semmai, sono apprezzabile solo finché mi si immagini. Appaio forse elegante, interessante, capace a parlare e di buone maniere: in realtà, per la maggior parte di coloro che vogliano vedermi così, quel che posso svelare è, al contrario, di essere un orribile mostro.

Non potrei essere un politico perché sono sempre più incline ad ammonire che ad aggraziarmi gli altri. Non potrei essere un politico perché per me i problemi non si risolvono dall’alto, ma dal basso e, dunque, i miei nemici non sono, attualmente, i politici stessi, che invece ignoro, quanto, piuttosto, i cittadini con cui spartisco i miei pasti quotidiani, rei di aver condotto al governo quei politici. Non potrei essere un politico perché non avrei altra soluzione allo stato di cose che viviamo che non sia quella di pretendere dagli altri, ossia dai miei eventuali elettori, di essere diversi da ciò che sono. Non potrei essere un politico perché non domanderei mai alle genti di votarmi, come si suole fare qui, per il semplice fatto che farlo mi sembrerebbe come prenderli per degli inetti incapaci a deliberare, a leggere dei programmi e a compiere delle scelte autonome; e, nondimeno, vivo in un contesto in cui la gente si offende se non le venga chiesto il voto – forse perché, a questo punto, la maggior parte delle persone siano veramente inette. 

Chi voterebbe, quindi, qualcuno con dei pensieri così divisivi, così offensivi, così radicali, veementi e inamovibili? Chi voterebbe qualcuno che ti venisse a dire che la colpa è tua e che se vuoi una vita migliore devi cambiare atteggiamento?

In più, se venissi votato, la mia intransigenza si rivelerebbe con grande celerità, cosicché i miei elettori si troverebbero a dover compiere sforzi più grandi di quanto non immaginino, a subire sanzioni perenni, a dover dimenticare la vita di favoritismi e privilegi che, fino a oggi, hanno vissuto. Durerei da oggi a domani e, dopodomani, sarei già fuori dai giochi.

Un'altra cosa che ho analizzato, inoltre, è che creare una lista di gente capace e una lista che ottenga voti sufficienti a essere eletta sono due cose agli antipodi, totalmente opposte. Nel primo caso, significherebbe non tenere conto di quanti voti si possano racimolare, concentrandosi unicamente sulla progettualità e sulla possibilità di migliorare effettivamente la realtà, cercando partecipanti competenti e, parimenti, dotati di un’enorme onestà intellettuale. Nel secondo, invece, ci si baserebbe sul criterio del ricercare chi sia più appetibile alla comunità, chi sia in grado di portare tanti voti, dovendosi basare su meccanismi familiari e di amicizie, e dunque dovendo scegliere non sulla base della qualità dei partecipanti, ma della quantità di numeri che essi possano portare con sé. Così, se si evince, si crea un problema paradossale: una lista capace di governare non potrebbe governare, mentre una capace di essere eletta non sarebbe all’altezza di governare. Né si potrebbe ovviare al problema creando miscugli, perché si favorirebbe comunque il secondo meccanismo, ossia quello della quantità a discapito della qualità, o si rischierebbe l'immobilismo operativo. E la realtà dei fatti, alla fine, ce lo mostra di continuo. Quando le cose vanno decentemente, infatti, non si è mai adempiuto alla prima possibilità, ma si è trovato il miglior modo di arginare il peggio della seconda.

Prima delle scorse elezioni comunali fui invitato a cena da uno dei due gruppi che avrebbero costituito le liste candidate. Già essere invitato per sedere in un luogo ben visibile, con gente che non sapessi neppure chi fosse, per me era sufficiente a sapere, prioritariamente, che non ne avrei voluto fare parte. Infatti, tali considerazioni erano a supporto del fatto che si trattasse di un invito per chi volesse raggiungere una posizione a qualunque costo. 

Alla fine, benché chi non ne sia informato verrà a saperlo leggendo queste righe, fu per me che, da dietro le quinte, che quell’incontro venne spostato in un luogo privato. A quelle condizioni, così, scelsi di partecipare alla riunione.

Una volta lì, mi guardai attorno e mi sentii estraneo. Tuttavia, per non lasciare che i pregiudizi potessero sopraffarmi, decisi di proseguire con quegli incontri per qualche altro giro, finché a un certo punto desistetti, nascondendo la mia riluttanza al progetto mediante l’impiego, vigliacco, della mia condizione personale, giovanile e ancora incerta sul da farsi, come scusante. E questo per il semplice fatto di dover mantenere un certo apparente decoro evitando alterchi e antagonismi, che in paese sono sempre scomodi al vivere quotidiano.

Una volta venutone fuori, mi arrivarono le voci di chi affermò che io fossi rinomatamente uno che parlasse tanto e che, alla fine, non agisse mai. Forse questo è vero, per carità. Ma ci sono delle cose da considerare. 

Anzitutto, non ci si può aspettare da un individuo che ragioni che, a scatola chiusa, si presenti a una riunione essendo perfettamente incline a lavorare con altri non sapendo neppure chi siano, perché si tratta di politica e, specificamente, di gruppi di pensiero e azione, non di un ufficio di lavoro nel quale si arrivi essendo stati appena assunti e in cui non abbia tanta importanza che un collega stia simpatico o meno. In secondo luogo, perché un gruppo politico che voglia presentarsi con una lista civica alle elezioni comunali non può formarsi a ridosso dell’elezione, ma per lo meno alcuni anni prima, per verificare la propria compattezza e durevolezza nel tempo. Si tratta, infatti, di una ragione meramente operativa: quelle persone, insomma, devono capire se si piacciano vicendevolmente "a pelle" o se siano altresì coscienti di andare a sufficienza d’accordo da potere, nel caso di una vittoria, amministrare congiuntamente per almeno cinque anni di fila.

Naturalmente, a posteriori, non mancò chi mi disse che scegliendo di non candidarmi non avrei avuto il diritto lamentarmi. Ugualmente, vi fu chi tentò di canzonarmi, descrivendomi con l'utilizzo improprio dei termini super partes, volendo dare a questi un connotato negativo ma di fatto movendo un involontario complimento nei miei confronti. Ma, d’altronde, qui si campa di qualunquismo e si impiegano reiteratamente terminologie sconosciute.

Viviamo in una società di egocentrici, che ha mutuato una visione operativa piramidale dall’industria dell’economia liberista e che, quindi, non conosce altro che la conquista di una certa superiorità posizionale sugli altri per far valere le proprie idee. Viviamo, pure, in una società di influencer in cui metterci la faccia equivale soltanto a mostrarsi fisicamente, ad apparire, non a partecipare da dietro le quinte senza dover necessariamente raccogliere applausi e vivendo la causa comune come una cosa seria.

Queste sono anche le ragioni per cui, oggi, le persone siano maggiormente inclini a promuovere condizioni dittatoriali, tanto qui da noi che in tutto l’Occidente, come mostra la deriva autoritaria comune attuale. Si procede per leader, per personalità, e non si leggono programmi, non si ascoltano veramente le parole, non si analizzano le proposte: si guarda in faccia chi paia più autorevole, confondendo sovente l’autorevole con l’autoritario, e si sceglie secondo questa vuota apparenza.

Tuttavia, qui c’è proprio un problema di comprensione operativa rispetto a come funzioni, o a come dovrebbe funzionare, una macchina politica solida: in essa, infatti, non tutti sono protagonisti e non possono esserlo. Vi sono retori, capaci a parlare ma meno a pensare; vi sono teorici, capaci a pensare ma non necessariamente a parlare; vi sono individui con inclinazioni operative ma ben poco capaci tanto di parlare quanto di pensare: vi sono tante, ma tante figure difformi. Tutti possono essere tesserati a partiti, far parte di liste e via dicendo. Non tutti, però, possono concorrere all’ottenimento della medesima cosa. Anche perché, se così fosse e come di fatto accade spesso ai tempi nostri, le scissioni in corso d’opera diverrebbero talmente frequenti da sviluppare un meccanismo di stagnazione. E ciò, peggio ancora, avverrebbe per una semplice ragione competitiva che mette coloro i quali debbano collaborare nella condizione competitiva tra gli uni e gli altri all’interno del gruppo stesso. 

Dopodiché, la dilagante ignavia, che come ho spiegato a più riprese altrove è eredità dell’infima politica camaleontica democristiana dell’ultimo secolo, pone tutti nella condizione di ritenere che sia possibile camminare sul red carpet della politica a braccetto con chiunque. Non è così!

Come ho notato altrove, in analisi più approfondite, affermare che le ideologie siano anacronistiche, o che il loro impiego nella vita individuale e comunitaria sia superfluo o depauperante, è in torto. Può darsi l’anacronismo di un partito, ma non di un’idea fondativa.

Tutti abbiamo coscienza del nostro modo di vedere le cose: sappiamo, infatti, se siamo individualisti o egualitari; sappiamo se ci piaccia un’economia senza freni o controllata dallo Stato; sappiamo se le nostre visioni in merito a tradizioni, religioni e quant’altro siano conservatrici o progressiste; sappiamo se gli omosessuali o gli stranieri ci diano fastidio o se, al contrario, ci stia a cuore che questa gente possa vivere in mezzo a noi al pari di noi; sappiamo se ci piacerebbe chiuderci nel nazionalismo patriottico o se le nostre siano idee internazionaliste e volte all'abbattimento di confini. Tutte queste sono opinioni che ognuno di noi elargisce ogni giorno.

Dunque, è inutile venirci a dire che non abbiamo ideologie, che non esistano, o che non siano attuali. Essendo coscienti di queste nostre idee, dobbiamo sapere se le nostre siano visioni di destra o sinistra, per come le abbiamo storicamente nominate e non perché sia necessario affibbiarci un'etichetta, ma perché nella vita comunitaria è doveroso collocarsi. Bisogna che si ritorni ad avere il coraggio di assumersi la responsabilità di pensare politicamente.

Oggigiorno, ci si lava le mani cercando il problema all'infuori di se stessi, ora nei partiti, ora nelle personalità storiche che si servirono delle ideologie a proprio piacimento e così via. Così, ci si definisce "moderati", "centristi" e tante altre schifezze di questo tipo.

Così come disse qualcuno, io «odio gli indifferenti» e questa mancata presa di coscienza, nella società odierna, è la rappresentazione esatta di cosa significhi essere tali. Accade ciò per via dei meccanismi economici, i quali hanno insegnato alle persone non a prendere decisioni ma unicamente a vendere. E come con i beni, ugualmente, col nuovo mercato del lavoro è accaduto con le persone: divenute merci, per poter conseguire una posizione lavorativa senza rimanere disoccupate, queste hanno imparato a vendere se stesse, a vendersi. Ciò è anche comprensibile, si badi: non è nulla di più che una forma di adattamento alla struttura preesistente, pena l’esclusione e, in questo caso, la perpetua disoccupazione. Ma la presa di coscienza di questo stato di cose è doverosa, per evitare che colpisca ogni questione della nostra vita.

Inoltre, quest’ignavia dilagante, nascosta dietro la maschera della moderazione, è quanto infatti sia colpevole dell’avanzata di questo tsunami estremista che, giorno dopo giorno, sta sottraendoci sempre qualcosa in più, finendo per travolgerci: questo dilagante atteggiamento oggi sta conducendoci, se non lo abbia già compiutamente fatto, a subire il panorama politico attuale, che, di questo passo, ci condurrà probabilmente a trovarci nel bel mezzo di un conflitto internazionale. Forse a quel punto tanti capiranno, finalmente, che la precarietà possa interessare la loro vita al pari di quelle di quei popoli in guerra che vediamo sempre tra le notizie delle testate giornalistiche e che ci sembrano così lontani e così diversi.

La moderazione è considerata una forma di delicata discrezione. Tuttavia, essa è la sola colpevole dell'inadempienza all'equilibrio. Se da un lato della bilancia si trova un gravo di una tonnellata non servirà a nulla porne uno di un grammo dall'altro, perché la tonnellata non subirà neppure il minimo spostamento e, dunque, non si starà provvedendo a controbilanciare alcunché.

Detto ciò, per tornare a me, voglio mettere delle cose in chiaro. Io sono un egualitario, progressista, anti-religioso, contrario al libero mercato. In altre parole, sono un elettore di sinistra, con visioni decisamente più radicali di quanto qualunque partito di sinistra attuale sia in grado di rappresentare. Sono tesserato, nondimeno, a uno di essi: quello che, pur non descrivendo appieno la rappresentazione del mio pensiero, mi sia parso in grado di avvicinarsi alle mie posizioni. L’ho fatto perché la partecipazione – e non necessariamente la candidatura! – è doverosa.

Il solo fatto che in questa nazione vi sia un dilagante e persistente balzare da una cosa all’altra per via di delusioni rappresentative conferma che essa sia prevalentemente abitata da ignavi arrivisti e non da gente con idee solide. Anche io, in passato, ho subito delusioni da certi partiti che rappresentassero la sinistra, ma non per questo ho smesso di votare – poiché votare non serve necessariamente a scegliere il meglio, quanto invece serva per lo più a sventare il peggio – né ho abbandonato delle idee che ritengo valide e funzionali alla vita comunitaria.

Una volta giunti a questo punto, quindi, la situazione diviene chiara. Personalmente, non posso né voglio costituire gruppi con persone che abbiano ideologie diametralmente opposte alle mie soltanto perché mi stiano simpatiche quando ci prendiamo una birra insieme al bar e parliamo di tutt’altra roba. E so che nelle dimensioni del vivere paesano si debbano mettere da parte certi vessilli perché ci si ritrova tra individui e non tra sole correnti di pensiero, ma qui stiamo parlando di fondamenti non di accessori. 

Non posso, infatti, condividere una lista civica con un fascista, un elettore di destra o un democristiano moderato, perché siamo troppo distanti sui fondamenti del nostro modo di vedere il mondo da non poterci incontrare su un programma operativo. Sebbene non con il fascista, con gli altri due tipi potremmo provare ad andare d’accordo, quello sì; benché per me sarebbe comunque uno sforzo immane accordarmi con chi ritenga essere la causa di ogni problema odierno. Possiamo magari creare organi di dialogo che facilitino il confronto tra opposti. O possiamo semplicemente comportarci in modo politicamente maturo e, senza faccende alternative, creare continuità di confronto tra maggioranza e opposizione, servendoci di quanto già vi sia, per evitare la stagnazione dovuta all'antagonismo e al sabotaggio aprioristici.

Questo sarebbe un compromesso politico. Ma esso non ha nulla a che vedere col fatto che un comunista e un fascista creino un partito insieme, perché in questo caso non si tratterebbe di compromesso, ma di ignavia: significherebbe voler raggiungere a tutti i costi una posizione di prestigio, non veramente interessarsi di politica, ossia costruire portando avanti un’idea comune; e i due in esempio, a ben vedere, non sarebbero neppure realmente un comunista e un fascista, ma due bandiere che, all'occorrenza della direzione del vento seguono a sventolare.

Come si potrebbe, infatti, creare un’idea comune a un’internazionalista e un nazionalista? O un’idea comune a un femminista e un misogino? Vorremmo forse scegliere di trattare le donne in un modo nei giorni pari e in un altro nei giorni dispari? O forse sarebbe il caso, invece, di ammettere a noi stessi che certe cose non possano, effettivamente, funzionare congiuntamente?

D’altra parte, io vivo in un paese in cui vi sono omosessuali democristiani, talvolta pure fascisti; vi sono comunisti cattolici, o anche fascisti cattolici. Naturalmente queste cose non sono sensate, nel senso che a questa gente piaccia definirsi in questo modo per il semplice fatto di non sapere neppure cosa significhino tutti questi termini. Se io, difatti, oggi chiamassi una finestra "sedia", perché, a mio vedere, con «sedia» si intenda quell'apertura della parete che consenta lo scambio di luce e aria tra interno ed esterno, non cambierei comunque il significato di queste due parole sul vocabolario, ma semplicemente ne farei un uso improprio.

Nella migliore delle ipotesi, quando queste situazioni antinomiche non si presentino in uno stesso individuo esse accadono tra amici intimi. Così, vediamo sostenitori di concezioni omofobe spartirsi l'amicizia con omosessuali, o perfino omosessuali omofobi. Ma qualcuno è più in grado di rendersi conto di cosa questo significhi?

Proviamo a fare un disegnino semplice semplice. Se io fossi sostenitore di un estremismo con concezioni omofobe e il mio migliore amico fosse omosessuale, fintanto che le condizioni sociali siano assimilabili a un contesto pacifico tutto andrebbe bene, benché comunque risulterebbe abbastanza incongruente e ridicolo. Se, come potrebbe pure accadere, si creassero condizioni di precarietà, si spargessero idee omofobe, o addirittura venisse riesumato un nuovo regime fascista, io diverrei un cittadino modello per il regime, mentre il mio amico, nella migliore delle ipotesi, finirebbe in carcere.

Il vero problema nella mancata comprensione di queste cose è quello di non riuscire a vedere la vita per ciò che essa è: fallibile, corruttibile, fatta di esseri umani che, al pari di ogni altro, sono pieni di contraddizioni, capaci di azioni di ogni genere e così via. Essendo nati e cresciuti con la sola conoscenza della pace e del benessere, qui le genti non hanno un’idea vera di cosa significhi stare al mondo e di cosa questo mondo sia. Così, fanno un miscuglio di valori presi a piacimento da una parte e dall'altra e, alla fine, danno a quell'impasto il nome che piaccia loro di più. Spesso, avendo avuto genitori di una o di un'altra corrente e trovandosi a dissentire su certe loro posizioni, al posto di farsi una propria idea, sia pure contraria al retaggio familiare, costringono valori incongruenti ad assurdi assemblaggi, cosicché i loro pensieri non significhino nulla.

Ebbene, personalmente potrò pure avere idee sbagliate, ma di certo non sposo Dio e il Diavolo tra loro per il semplice fatto che alla mia famiglia piaccia Dio e a me stia più simpatico il Diavolo.

Capita sovente, come per l’anniversario di morte di mio nonno, che mia nonna mi chieda di presenziare alla messa per restituire una buona parvenza. A me, tuttavia, non pare cortese che lei mi chieda, conoscendo le mie serrate posizioni, di fare una cosa simile, per di più offendendosi nel non vedersi assecondata. È una questione di fondamenti, come ho detto, non di accessori. E se nei fondamenti della mia concezione di vivere v’è un’anti-religiosità, e non una semplice indifferenza, sarebbe niente più e niente meno che qualcuno pretendesse la mia partecipazione a una parata nostalgica fascista e si offendesse se rifiutassi. In questi casi, l'unico che abbia diritto di offendersi, a ben vedere, sarei io.

Così, per chi mi veda da fuori e pensi di poter cavare da me qualche appoggio per il solo fatto che io gli piaccia, è opportuno che si domandi – e ciò vale tanto con me quanto per altri – chi sia la persona che ha dinanzi e non affibbiarmi le sembianze che più lo aggradino. Se per la maggioranza è normale creare una squadra di calcio chiamando in campo giocatori di tennis, ciclisti, nuotatori e quant’altro, ma senza neppure un calciatore, ebbene, sappia che non si tratterà di una squadra ma di un circo, o di un più ampio raduno di sportivi che, tuttavia, non potrà affrontare nessuno sul campo di calcio risultando sia pure parzialmente credibile.

È venuta gente, più di una volta, a chiedermi di creare progetti politici insieme dichiarandosi preliminarmente, moderata, democristiana, di estrema destra e quant’altro. Addirittura, c’è stato chi mi abbia detto, nell'arco di pochi minuti, di essere tutte quelle cose insieme, a dimostrazione che la mia analisi sull’odierna ignavia sia dunque corretta e che la gente tanto non sappia cosa significhi ciascuna di queste cose quanto non sia capace di posizionarsi rendendosi, consequenzialmente, divisiva.

Il minimo che si possa fare, per la formazione di un gruppo, è almeno informarsi su chi siano le persone a cui si stia proponendo di formarlo. E io, come pure queste righe mostrano, sono un uomo facile da indagare, perché gran parte dei miei pensieri è pubblica, fruibile.

Al di là della constatazione di chi io sia, il solo fatto di chiedermi una cosa simile in questi termini per me significa che chi me lo proponga non abbia alcuna informazione su di me e, dunque, che non sia un individuo credibile e capace di realistica operatività. O peggio, se quell'individuo sapesse veramente chi io sia e comunque volesse propormi qualcosa del genere, allora mi starebbe anche mancando di rispetto non capendo quanto per me certe questioni siano importanti. Quel che appare ai miei occhi, in questi casi, è quindi nuovamente la sola brama di questo tipo di persone di voler divenire protagonisti in qualcosa a qualunque costo e non di interessarsi davvero a quel qualcosa.

Ho sempre scritto con l’auspicio di sventare quello che, non so quando ma immagino presto, sarà un momento storico molto buio, che potrebbe risolversi in una violenza talmente estesa da divenire, a tutti gli effetti, una guerra. Oggi, però, sono stanco. E forse mi auguro che questo conflitto avvenga il prima possibile, anche perché sono psicologicamente preparato a ciò da quasi un decennio, ossia da quando cominciai a intravedere la deriva che oggi sta effettivamente compiendosi.

Alla fine, come si suole dire, non tutti i mali vengono per nuocere. Ed effettivamente questo disastro porterebbe un giovamento: la conquista della mia libertà. Infatti, se gli adulatori di un futuro regime venissero distrutti, allora sarei libero da loro. Se, al contrario, essi riuscissero a distruggere me, allora perirei e sarei, anche in quel caso, libero da loro.

Non aspettandomi comprensione da parte di un apparato sociale così corrotto, dunque, l’unica auspicabile attesa è che la necessità storica si dispieghi quanto più velocemente in tutta la sua potenza distruttiva. Magari, in questa maniera, chi vi sopravviverà potrà ricominciare a comprendere veramente cosa significhi avere una coscienza politica.

 
 

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